Nel rapporto tra attore e regista nel corso delle prove di uno spettacolo, si assiste ad esasperazioni relazionali che a volte rischiano di sfuggire di mano. E' necessaria una grande cura del rapporto e della sua evoluzione perché questi si mantengano sempre a livelli accettabili. E' necessario un grande equilibrio. Pur nella necessità di spingere l'elaborazione del personaggio al livello più alto possibile, va sempre ricercata una relazione in cui l'attore si senta libero di trovare dentro di sé le risorse emotive necessarie allo scopo. Ci sono registi che si curano della libertà dell'attore e altri che non lo fanno. Ci sono registi che fanno prevalere la propria esigenza espressiva a quella degli attori. Si sarà capito che io propendo per un rapporto equilibrato di libertà reciproche dove tutti danno e nessuno debba chiedere. Purtroppo non sempre è così e molti registi non disdegnano la possibilità di trasformarsi in guru piuttosto che in maestri che insegnino a fare a meno di loro. Tutto ciò è possibile perché esistono attori che lo permettono e che sono felici di sottomettersi. Legittimamente. Per me rappresentano un mondo che non amo popolato di vittime e carnefici, ma nessuno potrà vietare loro di vivere in una perenne sindrome di Stoccolma. Almeno fino a quando ci sarà pubblico che vorrà vedere i loro spettacoli in un armonioso e straordinario circolo vizioso di sofferenze.
Quando cominciai a fare i miei spettacoli nei luoghi non convenzionali fra cui le case, venni a sapere di una iniziativa analoga, ma diversa, come dirò, che partiva dall'Argentina e che si chiama Microteatro. Nel momento più intenso della crisi economica argentina, gli attori dovettero trovare una forma diversa di presentare le proprie opere che fosse compatibile con le tasche del pubblico. Ricordo perfettamente la tipica frase che sentivo ripetere ai miei colleghi nei giorni in cui mi trovavo in scena a Buenos Aires con Persefone di Bob Wilson: "No hay plata", non c'è denaro. Spuntarono allora spettacoli più brevi, 15 minuti circa, che per via della loro durata costavano meno e il pubblico poteva perciò continuare a vivere l'esperienza del teatro senza spendere il denaro che non aveva. Il Microteatro continua ad avere successo, forse a causa della crisi che non smette di colpirci, e a Barcellona è stato organizzato un vero e proprio teatro multisala dove vengono messi in scena brevi spettacoli ripetuti più volte nella stessa serata.
La differenza fondamentale tra Microteatro e Teatro d'Appartamento sta nel fatto che i nostri sono spettacoli completi di lunghezza media che non vogliono riprodurre in piccolo ciò che si può sperimentare in un teatro normale. Inoltre, alla fine dello spettacolo si rimane con gli spettatori per mangiare, bere e parlare di arte e cultura. Con ciò non voglio dire che l'esperienza del teatro breve sia da rigettare, anzi. Tutto ciò che può avvicinare il pubblico alla scena, ovunque questa si trovi, è un aiuto all'arte e soprattutto a chi di teatro vive.
Teatro negli hotel.
Per questo motivo è stato bello e istruttivo partecipare al progetto "Rooms", ideato da Valerio Strati e che ha visto alcuni attori susseguirsi in piccole opere teatrali messe in scena l'anno scorso all'hotel Posta di Palermo.
Il pubblico entrava nelle varie stanze accompagnato da una guida (Anna Zito) e scopriva personaggi che in quelle stanze agivano, come a spiarne la vita. La particolarità intrigante stava proprio nella esperienza voyeristica a cui il pubblico veniva messo di fronte, testimoni scomodi di una scena privata. E' stato un grande successo come si può vedere nel video in cima all'articolo.
Allo spettacolo, prodotto da Giulio Pirrotta con Teatro alla Guilla di Palermo, hanno partecipato (oltre a me) Valerio Strati, Domenico Bravo, Viviana Lombardo, Floriana Patti, Maria Grazia Saccaro e Dario Raimondi.
Quando decisi di cominciare la mia avventura di Teatro d'Appartamento, non tutto mi era chiaro. Avevo una intuizione e sapevo che quella maniera di presentare uno spettacolo aveva un senso profondo, ma come si sarebbe sviluppato il tutto, non riuscivo ancora a vederlo con la chiarezza di adesso. Sapevo, per esempio, che era necessario un cambio radicale nel paradigma classico del rapporto attore-spettatore e sapevo che quest'ultimo doveva assumere un ruolo più concreto. Sapevo che alla fine dello spettacolo la compagnia doveva rimanere a mangiare e bere col pubblico affinché l'energia e l'emozione dello spettacolo non svanisse con la chiusura del sipario (un modo di dire, in nessuna casa ho trovato un sipario!). Tutto ciò mi era chiaro, altro molto meno. Ci volle tempo, infatti, perché realizzassi la semplice constatazione che si stava sbloccando la voglia nascosta di cultura che c'è in molta gente. Una sorta di crowdfunding culturale dove non è in gioco il denaro, ma il desiderio del pubblico di agire sul prodotto teatrale non solo con l'acquisto di un biglietto, ma con un gesto concreto. Immaginate quanto voglia di cambiamento presuppone il fatto che un padrone di casa inviti i propri amici per vedere e parlare di arte e cultura piuttosto che solo per farsi un bicchiere in compagnia. Tutto ciò a patto che questa gente esista davvero! Di fatto la mia scommessa era nell'avere intuito che moltissime persone avevano davvero voglia di partecipare ad un evento culturale senza che questo venisse filtrato da una istituzione pubblica o privata che fosse. Credetemi, c'è un'infinità di gente che desidera riappropriarsi del teatro e di farlo diventare qualcosa di vicino a loro. Teatro d'Appartamento è teatro di prossimità.
Mi piace dire che con Teatro d'Appartamento lo spettatore respira la stessa aria dell'attore.
Quando portai il mio progetto a Barcellona, sentii che quella intuizione aveva trovato un'altra casa accogliente e mi dedicai alla creazione di una compagnia. L'inizio fu sfolgorante! In due anni abbiamo fatto circa 200 spettacoli tra Palermo e la Spagna. Il marchio TdA divenne famoso e molti mezzi di comunicazione cominciarono a parlare di noi (rassegna stampa). Cosa potevo volere di più? In realtà il progetto, proprio per la sua natura, ha un carattere molto fluido e per questo dovetti imparare a muovermi con l'onda di un mare sempre in movimento. TdA è diventato molte cose e molte altre diventerà.
Cosa ho imparato da Teatro d'Appartamento?
TdA mi ha reso e mi rende felice per vari motivi. Innanzitutto mi ha permesso di conoscere moltissime persone e mi ha consentito di sfatare una mia pessimistica sensazione sulla società attuale. Esiste molta gente che ancora crede nei valori della comunità, della cultura e dell'altruismo. Non è altruismo puro regalare teatro ai propri amici aprendo la casa agli attori? Poi c'è un aspetto più tecnico che riguarda me e il mio essere attore e regista. TdA, con la sua prossimità spietata al pubblico, è una scuola teatrale come mai avrei immaginato. Ogni dettaglio si amplifica e tutto deve essere controllato maniacalmente. Eppure non bisogna mai essere attori artefatti. No, bisogna rispettare quella prossimità che rende l'evento unico. Un mix di tensione e rilassamento che mi è ritornato utilissimo col pubblico dei più giovani e delle scuole.
Come dico alla fine di uno dei miei spettacoli, "Lungo le arterie del mondo", il Teatro (d'Appartamento), mi rende felice.
Un ringraziamento speciale a tutti coloro che tra l'Italia e la Spagna mi hanno permesso tutto ciò!
domenica 24 gennaio 2016
L'attore Graziano Piazza (NON) fa "Schifo"
Ieri ho visto uno spettacolo (Teatro alla Guilla di Palermo) che ha venti anni di vita e purtroppo non sembra dimostrarli. Il "purtroppo" è d'obbligo visto l'argomento e visto che si parla di immigrazione. "Purtroppo" nulla sembra essere cambiato in tutto questo tempo. Il teatro racconta la realtà.
Nel monologo, "Schifo" di Robert Schneider con la regia di Cesare Lievi, chi parla è un immigrato che vende rose come molti altri e che travolge gli interlocutori, il pubblico con un flusso di pensieri e parole che raccontano di lui e del suo rapporto con la Germania in cui vive. Sad, il suo nome, è irregolare, vende rose illegalmente e tutta la sua vita sembra scorrere in un limbo di illegalità dove lui non sembra esistere se non per quelle parole che condivide col pubblico. Le parole sono così importanti per Sad che con i primi soldi guadagnati col commercio di rose, decide di comprare un vocabolario arabo-tedesco. Le parole, dunque, diventano la sostanza dell'uomo, dello spettacolo e della densa aria che si respira nel teatro. Il pubblico trattiene il respiro e si lascia travolgere dal flusso di pensieri. Graziano Piazza, bravissimo, parla con un verosimile accento arabo e verosimile è il suo aspetto. Tanto verosimile da non essere riconosciuto quando all'ingresso del teatro tenta di vendere rose all'ignaro pubblico. Tanto verosimile da essere affrontato da un ragazzo del quartiere che gli intima di andarsene perché nella zona decide lui chi può o non può vendere le rose. Tanto verosimile da dover svelare il travestimento per non rischiare danni fisici. Perché l'immigrato che vende le rose è un po' uno "Schifo" per tutti, adesso come venti anni fa. In questo corto circuito tra realtà e teatro, il pubblico reagisce con sgomento e si domanda finalmente chi faccia veramente schifo. Perché a volte non è "l'altro" a far schifo, ma colui che così maledettamente ti somiglia. E forse quel pezzo di te che non sa venire a patti con il diverso.
Graziano Piazza e Maddalena Crippa sono in scena dal 3 a 7 marzo al teatro Biondo di Palermo in "Lampedusa Way" scritto e diretto da Lina Prosa.
venerdì 22 gennaio 2016
Il corpo dell'attore e il mimo di Decroux.
Parte 2: un movimento, un respiro
L'esercizio che adesso chiederò di fare può sembrare semplicissimo, ma non lo è. Innanzitutto devo premettere una considerazione generale. Tutti gli esercizi devono essere svolti esattamente per come vengono indicati, non tanto perché quel dato esercizio determini una conoscenza fondamentale per la formazione dell'attore, quanto per una autodisciplina a cui è necessario abituarsi. Se il maestro dà delle regole, queste vanno seguite. L'allievo potrà sperimentare quanto il suo corpo saprà adattarsi alle indicazioni e quanto no. Uno dei limiti a cui va incontro un allievo e l'incapacità di capire la distanza tra ciò che immagina di fare e ciò che fa realmente. Per questo motivo è assolutamente fondamentale seguire alla lettera le indicazioni e le regole dell'esercizio e adattarvisi.
Torniamo all'esercizio.
Ci si mette in "grado zero" (vedi parte 1), piedi in prima posizione
e si comincia a respirare come indicato nella parte 1. Appena il respiro sarà calmo e completo si comincerà ad abbinare un pliè espirando e un relevè inspirando. Si faccia attenzione che ogni respiro duri esattamente quanto il movimento, né più né meno e che non ci sia alcuna apnea in mezzo. In poche parole il corpo andrà su e giù armoniosamente accompagnato dal respiro. Altra cosa a cui fare assolutamente caso è che il ginocchio sia sempre in linea con il piede e che la schiena rimanga sempre in asse. Nessuna inclinazione del busto o del bacino. Andate in pliè quanto vi permette il vostro corpo e non esagerate. Se riuscirete a fare questo semplice esercizio sarete già metà dell'opera. Terminate l'esercizio nel punto più alto del relevè, in punta di piedi e mantenete l'equilibrio. Non dimenticate di continuare a respirare regolarmente secondo il ritmo impartito durante l'esercizio. Alla fine tornate al "grado zero" e rilassatevi.
Per riassumere. Il compito è quello di abbinare un movimento ad un respiro evitando di concludere uno prima dell'altro. Non sarà facile, credetemi. Dopo sarete pronti per un nuovo esercizio.
Comincio questa prima lezione con un avvertimento che può sembrare una banalità: ricordatevi di respirare sempre. Il corpo dell'attore non può infatti mai interrompere il flusso della inspirazione e della espirazione senza perdere la sua forza. L'osservazione, credetemi, non è banale avendo visto nei miei lunghi anni di insegnamento una infinità di allievi in apnea al primo esercizio di movimento. Una delle cose più complicate per un attore alle prime armi è quella di mettere assieme in maniera armoniosa il gesto e la respirazione. Mi sentirei di dare una regola generale che vale per tutti: ogni movimento dell'attore sulla scena va accompagnato da un respiro. Da allievo ricordo perfettamente la respirazione di Marcel Marceau che accompagnava i suoi gesti e i sui esercizi tecnici.
Il problema del respiro tranquillo necessario per stare sulla scena è che tale respiro deve fluire in un corpo mai abbandonato. Non dico che bisogna stare in tensione, ma che il corpo deve sempre avere una energia che lo sostiene. In gergo tecnico si dice che l'attore da fermo è in "grado zero". Il corpo fermo combatte sempre contro la gravità e non può mai abbandonarsi a se stesso. Per ottenere ciò fate il seguente esercizio. Mettetevi in piedi e immaginate una energia che dai piedi vi attraversi la spina dorsale per uscire all'altezza del retro della testa e per proseguire in alto senza fine. Raggiungere tale sensazione non è facile e avrete bisogno di molta concentrazione. Fate attenzione a non irrigidire il collo e non alzare il mento. Spesso, durante le mie lezioni parlo di un fantomatico signore che con un gancio ci prende da sopra la nuca e ci manovra come un puparo. Ecco, dovremo sentirci come appesi e con il peso del corpo sempre leggermente in avanti. Fate attenzione infatti a non mettere tutto il peso del corpo sui talloni. Datevi tempo per capire tutti i passaggi che vi ho appena spiegato, non affrettate nulla, studiatevi e sentite ogni dettaglio e ogni punto del corpo.
Adesso che siete correttamente nel vostro"grado zero", potete concentrarvi sulla respirazione.
Ogni volta che inspirate dovete sentire che la parte della pancia appena sotto il plesso solare si gonfia come un palloncino. Continuate ad inalare senza forzare e quando avrete il massimo di aria nei polmoni, espirate spingendo lo stesso punto della pancia per svuotarvi. Molto spesso, questo esercizio, che appare semplicissimo, viene viziato da un errore, quello di cominciare il respiro dal petto o addirittura dalle spalle. E' come se volessimo riempire solo metà di un recipiente, mentre i polmoni dell'attore devono lavorare a pieno regime per permettergli di muoversi e di di parlare. Se avete difficoltà a capire come fare, distendetevi per terra a pancia in su e provate ancora. Normalmente questa posizione permette di liberare il respiro. Non appena avrete capito come fare (ci vuole molto tempo e molta pazienza), rimettetevi in "grado zero" e ricominciate. Il respiro ottimale è regolare, lungo e riempie i polmoni completamente sino alle spalle (che devono rigorosamente stare ferme e rilassate).
Ripeto: datevi del tempo per capire come funziona la vostra respirazione. Abituatevi a non fare apnee e rimanere rilassati. Appena pronti potrete passare al prossimo compito, un respiro abbinato ad un movimento.
La triste e crudele frase di una spettatrice citata in una intervista all'attore e regista Massimo Popolizio su Dramma.it. Che la salvezza del teatro italiano sia nel ritorno al teatro?
"Grazie per non avere fatto uno spettacolo con gli uomini sui tacchi a spillo". Una spettatrice fuori dal camerino di Massimo Popolizio si complimenta e ringrazia dopo avere assistito a Il prezzo di Arthur Miller, di cui l'attore è anche regista.
Teatro d'Appartamento è un progetto che vive nella realtà seguendo l'andamento dei tempi. Le proposte teatrali si adattano ai luoghi e alla gente offrendo così un inversione totale rispetto all'esperienza che il pubblico vive normalmente. Il teatro di prossimità coinvolge tutti i sensi. Per questo ci piace dire che con noi il pubblico respira la stessa aria degli attori.
Da alcuni mesi abbiamo cominciato a lavorare nelle scuole e per gli studenti. Alcune centinaia di ragazzi a Palermo e a Barcellona hanno visto Le Metamorfosi e hanno discusso di miti e teatro. Un grande successo. Anche per il cuore.
Per tutto ciò riteniamo che Teatro d'Appartamento abbia una lunga vita davanti a sé e un bel passato pieno di felicità.
I luoghi sono fondamentali per il teatro. Per Teatro d'Appartamento ancora di più, naturalmente. Se poi uno spettacolo sembra scaturire dalle stesse pareti ricoperte di maioliche, di genio e di passione, ecco che il teatro diventa una emozione unica. Non sto parlando del pubblico. Della gente che ha assistito allo spettacolo so quello che mi hanno detto le persone incontrate dopo durante l'aperitivo, ho visto i loro occhi e i loro sorrisi. Adesso parlo di me e della felicità che mi dà vivere emozioni come queste.
Grazie Pio, Davide (e co...), Eleonora, Antonio. Grazie per la mia felicità!
giovedì 24 dicembre 2015
Theatresharing
Che c'azzecca la bicicletta con
Teatro d'Appartamento?
Bikesharing
A volte facciamo le cose per una predisposizione dell'animo di cui non ci rendiamo conto sino a quando non riusciamo a fare un po' d'ordine. Perché ho deciso di fare immediatamente l'abbonamento al bikesharing? Cosa mi piace così tanto nel correre tra le macchine che invadono ogni spazio vivibile e ogni ogni metro cubo d'aria? Certamente vi è una certa soddisfazione nello sfrecciare tra autisti esasperati e sentire il corpo rivitalizzato dal movimento. Certamente vi è la piacevole constatazione del fare qualcosa che aiuta l'ambiente. Certamente, ma non basta. Oggi ho avuto uno squarcio di consapevolezza. Ero in attesa al semaforo di una strada del centro e mi ritrovo accanto una signora con lo scooter. Lei mi osserva, sorride e mi dice: "Auguri". Pensavo che si trattasse di qualcuno che non riconoscevo per via del casco, ma lei, rendendosi conto della mia sorpresa mi fa: "Non ci conosciamo, ma se non ci facciamo gli auguri fra di noi". Squarcio di luce. Mi riconosceva simile e mi accoglieva nel suo mondo. Bellissima sensazione. La stessa che provo quando, alla fine di uno spettacolo in una casa o in luoghi simili, parlo col pubblico, quando mi intrattengo con loro tra un bicchiere di vino e un piatto di cibo. Mi sento di appartenere. Il mondo di chi fa teatro è fatalmente piccolo, ma sono infiniti i piccoli mondi in cui si entra quando Teatro d'Appartamento è accolto in una casa, nelle case. Scommetto che la signora in scooter ama il teatro e che accoglierebbe un mio spettacolo a casa sua. Questione di intuito. Il mio è un teatro di prossimità, la stessa a cui mi costringe la bici. Ecco cosa ci azzecca, ecco cosa mi rende felice.