mercoledì 28 dicembre 2016

Civico numero 27, di Sandro Dieli


CIVICO NUMERO 27 
il mio nuovo romanzo parla di Palermo?

Da pochi giorni è uscito il mio nuovo romanzo dal titolo Civico numero 27, Glifo Edizioni.
All'incontro che si è tenuto nell'ambito della manifestazione Jingle Books 2016, mi è stato chiesto quanta sicilianità e "palermitudine" ci fosse nel libro, dando per scontato che uno scrittore di questa città rimanga fatalmente dentro i canoni espressivi che la caratterizzano. Consapevole di ciò, sapendo cioè quanto sia forte la capacità di presa degli stereotipi su Palermo, ho deciso che la città non sarebbe apparsa esplicitamente. Avevo un'altra urgenza, quella di tirare fuori i personaggi dal loro contesto per accompagnarli verso una realtà in cui apparisse la loro umanità universale, la tenaglia che li stringe, l'entropia che produciamo con il vivere. Il piccolo condominio di via Crescenzio 27 è un sistema chiuso dove ogni azione risuona nel tutto e dove contemporaneamente tutti sono soli. Palermo è la trama nascosta di un racconto che potrebbe essere ambientato ovunque. Anche a Palermo.
<img alt='buzzoole code' src='https://buzzoole.com/track-img.php?code=05ae98edcc1dec6a5f2f03bfd08f8d95' />

mercoledì 31 agosto 2016

Camminare per essere umani

Ho letto una bella citazione di Alberto Sordi e vorrei condividerla con voi.

Una volta anche solo il fatto di andare a piedi, di salutarsi, di sentirsi parte di una società, aiutava a essere più umani.

Ho terminato il Cammino di Santiago da una settimana e ancora mi sento sospeso in una bolla felice. Vivo le giornate nella speranza che nessuno, me compreso, faccia scoppiare quella bolla facendomi precipitare nella realtà quotidiana. Mi aggrappo ai ricordi, mi concentro sulla memoria dell'esperienza vissuta e cerco di resistere. 
Faccio bene? Temo di no e vi spiego il perché.
Più ci penso e più mi rendo conto che il Cammino di Santiago ti offre un grande insegnamento: il camminare è un modo per essere più umani e tale umanità non può essere circoscritta nel piccolo ambito dell'esperienza vissuta. Durante le lunghe camminate verso Santiago, ci si sente di appartenere alla Terra, di essere figli di uno stesso universo fatto di pulviscolo raggrumato in oggetti e esseri viventi. Ci si sente felici. Il compito di chi cammina è, però, quello di portare sempre con sé l'umanità riscoperta, la propria felicità contagiosa. Il quotidiano ci assale? E noi resistiamo.
Belle parole, non è vero? Mi aggrappo ai ricordi, mi concentro sulla memoria dell'esperienza vissuta e cerco di resistere. Speriamo.

lunedì 1 agosto 2016


CAMMINARE PER PENSARE E IMMAGINARE.

Che rapporto c'è tra il camminare e la creatività? Difficile argomentare una risposta che possa dare forza alle ragioni dei camminanti senza nulla togliere a chi preferisce attività più sedentarie. Io stesso amo a volte star fermo e poltrire e non per questo smetto di creare e immaginare. Il camminare, però, sembra ricordare agli uomini, di un tempo in cui erano nomadi e in cui le donne cullavano il sonno dei bambini col passo cadenzato dei luoghi trasferimenti. Il camminare è un gesto antico e pieno di fascino. 
Bruce Chatwin, il grande scrittore inglese morto nel 1989, non poteva smettere di camminare e pensava che il nomadismo fosse una condizione naturale dell'uomo. La moglie, che ho avuto modo di intervistare alcuni anni fa (guarda), mi disse che Bruce non riusciva a pensare se non camminava. 
Da un po' di tempo sperimento su di me gli effetti benefici del camminare. Lo faccio per raggiungere luoghi, ma anche per il puro gusto  di farlo, di trasformare continuamente la prospettiva dei panorami che incontro in flusso continuo che mi sembra assomigli alla vita molto più che la statica contemplazione. 
Il poeta Kavafis ci dice che Itaca non è solo una meta, ma soprattutto il motivo del nostro andare, il luogo dove arriveremo carichi di tutti i tesori raccolti lungo il cammino.
Presto affronterò il Cammino di Santiago. Vi racconterò dei tesori che la strada vorrà darmi.

venerdì 29 luglio 2016

L'ITALIA DI OGGI?

Ho letto La Chimera di Sebastiano Vassalli e sono rimasto folgorato dalla scrittura intensa e leggera di questo scrittore morto da un anno, che con questo libro vinse il Premio Strega nel 1990. Non essendo un critico e essendomi io stesso misurato con la scrittura, posso semplicemente raccontare la mia gioia nel vedere una tale maestria delle parole e della struttura narrativa. E' proprio così, i grandi scrittori mi danno gioia perché mi ricordano quanto ingegno risieda nella creatività umana, mi annunciano che il mondo è sorprendente e pieno di poesia. 
La vita della povera "strega" bambina ci dice tragicamente di una società che sa stritolare dentro le sue spire chiunque appaia diverso. Vassalli ci ricorda come questa storia, pur declinata in luoghi e contesti diversi, potrebbe essere una storia di oggi, anzi, ci racconta da quali avvenimenti storici nasce l'Italia di oggi. Noi italiani siamo anche questo, il sangue e le carni bruciate di generazioni ignote che ci hanno preceduto e solo attraverso uno sguardo acuto e coraggioso avremo l'immagine completa di ciò che siamo davvero. 
La storia della strega di Zardino, dicevo, è una grande tragedia raccontata con semplicità geniale e con lo sguardo acuto di chi non fa sconti a nessuno. Questa è l'Italia, questa è la sua storia che l'ha portata sino a noi. Ma questa è anche la genialità di chi si sa parte integrante di quella storia. Noi siamo anche le nostre ombre.

mercoledì 27 luglio 2016

UNA STORIA DI FAMIGLIA

Il racconto Gas di scarico (per acquistarlo clicca qui) nasce alcuni anni fa dall'esigenza di narrare il disfacimento di una famiglia palermitana come metafora di un mondo sempre più disgregato. Al momento della scrittura non era ancora scoppiata la grande crisi economica e il mondo non aveva ancora scoperto dentro quale profondo incubo sarebbero potute cadere le certezze di tutti noi. Rileggendolo oggi mi meraviglio di quanto fosse tragicamente vera la mia visione, quasi si trattasse di opera di un indovino. Ovviamente non ho nessuna capacità divinatoria. Semplicemente "sentivo" e non lo sapevo. Mi chiedo, allora, quante volte siamo capaci di "sentire" e lasciamo che questa nostra capacità di comprensione del reale si perda? Siamo tutti in grado di farlo, siamo tutti dei piccoli Tiresia, l'indovino cieco della città di Tebe. Siamo anche degli assassini, però. Uccidiamo il nostro "sentire" per comodità, per evitare che l'animo venga invaso dal terrore. Se questo racconto servirà a svegliare il nostro Tiresia e prevenire il suo assassinio, sarò un uomo felice. Gas di scarico sarà servito a qualcosa.
Chiunque voglia godere di una bella lettura può acquistare un Kindle qui.

giovedì 21 luglio 2016

Ebook o cartaceo?

Molte volte mi è stato chiesto se preferivo leggere libri tradizionali in carta o se mi ero trasformato in un lettore digitale con Kindle e computer. L'istintiva risposta era, lo confesso, libro cartaceo. Tutta la vita. Eppure adesso ho pubblicato due racconti su Amazon e ho trovato la cosa super eccitante. E' incredibile come si possa con pochi clic offrire la propria opera al mondo intero, sentire crescere la voglia di essere scoperto in Germania, negli Stati Uniti o perfino in Giappone. Con l'editoria digitale si può. Spero che il mio Cat Lady possa rosicchiare lettori di lingua inglese e che il mio Gas di scarico riesca a superare gli annosi problemi di distribuzione fra le librerie italiane. E anche se non dovessi trovare chissà quanti lettori, l'idea di poterlo fare mi eccita da morire. 
Forse la risposta al primo quesito sta proprio nelle mie abitudini conclamate. Sul comodino ho un bel libro odoroso di carta e il mio computer. Compromesso storico.

mercoledì 20 luglio 2016

Il mio racconto su Amazon




Ho il piacere di condividere con voi la pubblicazione del mio racconto "Gas di scarico". Chiunque volesse acquistarlo, regalarlo e condividere la notizia, può cliccare qui
La storia è semplice e si può riassumere così: una famiglia di Palermo e un grande amore che copre la distanza sino a Berlino. Una sorprendente storia di vita e di morte con allo sfondo il capoluogo siciliano.
Aspetto i vostri commenti sulla mia pagina Facebook. Visita il mio sito www.sandrodieli.com.
http://amzn.to/29O4ALO

Il mio racconto su Amazon




Ho il piacere di condividere con voi la pubblicazione del mio racconto "Gas di scarico". Chiunque volesse acquistarlo, regalarlo e condividere la notizia, può cliccare qui
La storia è semplice e si può riassumere così: una famiglia di Palermo e un grande amore che copre la distanza sino a Berlino. Una sorprendente storia di vita e di morte con allo sfondo il capoluogo siciliano.
Aspetto i vostri commenti sulla mia pagina Facebook. Visita il mio sito www.sandrodieli.com.
http://amzn.to/29O4ALO

lunedì 8 febbraio 2016

sabato 6 febbraio 2016


Il teatro in TV: possibile?
Quando ero bambino in televisione si poteva vedere il teatro. 
I classici venivano messi in onda da attori di grande fama e bravura, i registi erano fra i migliori in circolazione e la recitazione non concedeva quasi nulla alla televisione e ai suoi sussurri. La cosa durò alcuni anni, abbastanza evidentemente perché qualcosa del teatro mi parlasse dentro e mi facesse scegliere in tempi successivi di diventare un professionista. Non ricordo quanti anni siano stati. Molti forse, ma poi la cosa finì. Il teatro smise di essere messo in onda in televisione e scomparve quasi del tutto. Del teatro non si vedevano più le messe in scena, ma di teatro si parlava. Si vedeva addirittura cosa accadeva prima, nel corso delle prove, ma all'apertura del sipario, un altro ideale sipario si chiudeva e per i telespettatori lo spettacolo finiva.
Voglio Teatro! Reality teatro television.
Qualcuno diceva che era un modo per salvaguardare il teatro, perché la televisione non lo uccidesse. Erano scuse. Del teatro non importava niente a nessuno. E poi se anche avesse rubato qualche spettatore,  avrebbe in ogni caso creato l'interesse e ampliato la base del pubblico potenziale. Come è accaduto a me. 
Per questo motivo ho pensato di realizzare un reality che usi il teatro come strumento di conoscenza personale e degli altri. Il teatro dà e guida le emozioni, esattamente come accade nella vita reale. Ecco allora "Voglio Teatro!", (credo) il primo reality teatrale. Il meccanismo, come si vede nel video della prima puntata (cliccate sul frame sopra o qui), è semplice. Un gruppo di persone decide di passare attraverso l'esperienza di una messa in scena per i motivi più diversi, e per fare ciò ha bisogno che arrivi io con Teatro d'Appartamento. La relazione, il confronto con dei professionisti del teatro risolve alcuni problemi tecnici e ne mette in luce altri, creando a catena ostacoli e soluzioni. In questo primo caso abbiamo alcune persone delle professioni più diverse, che decidono di provarsi attori. Si vedranno le prove, le difficoltà, i desideri di affermazione, le timidezze, gli ostacoli e ciò che si può sperimentare quando ci si trasforma in attori. Il tutto  a Barcellona. Per questo motivo la lingua usata è lo spagnolo (e un tocco di catalano), ma credo che chiunque possa capire ciò che avviene. Buona visione, allora, e ditemi cosa ne pensate.
Ultima notazione. Sarà un caso che abbia potuto realizzare il programma a Barcellona e non in Italia?
A posteri...

domenica 31 gennaio 2016


Cosa ho imparato da Marcel Marceau? Il teatro loquace.

Nel 1982, al ritorno da una lunga permanenza a Londra durante la quale avevo studiato mimo, mi fermai a Montepulciano per partecipare al seminario che Marcel Marceau teneva nell'ambito del Cantiere d'Arte. Ogni lezione era di 6 ore, 3 ore teoriche e 3 pratiche. Per me era un'occasione unica per mettere in pratica quanto imparato nei corsi londinesi con la mia maestra Anne Dennis. Ero eccitatissimo all'idea di conoscere quel mito assoluto del teatro e del mimo e non vedevo l'ora di cominciare. La prima lezione fu una vera sorpresa. Durante la parte teorica del corso il maestro parlò ininterrottamente per tutte e 3 le ore della lezione senza mai interrompersi e lasciando pochissimo spazio agli allievi. Marceau era magnetico e raccontava una infinità di aneddoti sul teatro e sulla sua vita, non ci si annoiava. Ogni volta così per 12 giorni. Fu allora che scoprii che Marcel Marceau, il grande maestro del mimo, l'uomo che affascinava le platee senza mai aprire bocca, era logorroico. Mi ricordai allora di quel film di Mel Brooks dal titolo "Silent movie", in cui nessuno degli attori parlava simulando un film del cinema muto. Mel Brooks vestiva i panni di un regista alla ricerca di protagonisti della pellicola che avrebbe voluto girare. Su un'auto decappottabile si recava a casa delle star hollywoodiane cercando di strappare loro l'assenso a partecipare alle riprese. Erano solo dei "no", silenziosi dinieghi in cartelli neri bordati secondo lo stile del cinema muto. Di un solo attore si sentì la voce, la sonora risposta negativa, comico stravolgimento dell'assioma per cui nessuno avrebbe dovuto parlare in un "Silent movie". Marcel Marceau pronunciò un secco e forte "no" alla fine di una delle sue fantastiche pantomime di stile che rappresentava un uomo che cammina contro il vento.
Parola e movimento a teatro.
Non fu in quella occasione che mi venne il dubbio, ma certamente un germe nascosto si impadronì di me e lavorò silenzioso (è il caso di dirlo) fino a quando non decisi che anche io avrei parlato in scena. Non si tratta di un argomento da poco. La mia scuola di mimo era rigorosamente fedele alla grammatica e ai dettami teatrali di Decroux. Per lui la parola in scena era una ferita alla purezza del gesto, così come la musica di sottofondo e qualsiasi altro orpello. Marceau, che aveva studiato con Decroux, venne buttato fuori dalla sua scuola quando decise di mettere in scena i suoi spettacoli da solo, riportando il mimo alla pantomima ottocentesca e tradendo tutte le regole imposte dal maestro. Una mondanità inaccettabile per il maestro. Eppure la storia ci ha lasciato l'immagine di Marceau come del più grande mimo mai nato e di Decroux pochi sanno. 
Quando Michele Perriera mi chiese di prendere il ruolo di Pistola nel suo Kean nel 1987, io cominciai a parlare in scena. Michele risvegliò il germe silenzioso della parola inoculato suo malgrado da Marceau e a da allora non smisi più. Gesto e parola si unirono da allora e vissero per sempre felici e contenti

mercoledì 27 gennaio 2016

Il teatro e la scuola, rapporto facile?


Mi capita da tanto, ma specialmente negli ultimi tempi con le "Le Metamorfosi" di Ovidio, di fare spettacoli nelle scuole per un pubblico di studenti. Il primo dubbio che mi prende ogni volta è quanto questi ragazzi siano davvero interessati al teatro e quanto invece li spinga il desiderio di non andare a scuola per una qualsiasi attività alternativa. Vogliono davvero il teatro? La risposta è: no, non vogliono il teatro, ma potrebbero volerlo. Devo riconoscere che il lavoro dei professori per preparare i ragazzi agli spettacoli è davvero encomiabile, ma tutto ciò che si può dire prima a proposito della esperienza che li aspetta non ha niente a che vedere con ciò che vivono durante e dopo avere assistito alla messa in scena. Alla fine di ogni spettacolo gli occhi dei ragazzi hanno un'altra luce, sembrano abbagliati dalla bellezza dell'evento artistico, sentono per la prima volta che il bello li affascina. Per quello che attiene alla mia esperienza, gli studenti di tutte le scuole sono potenziali fruitori felici di teatro, ma non lo sanno. Non lo sanno prima!
Il teatro di prossimità affascina.
Come convincere uno studente che non è mai andato a teatro a provare per la prima volta questa esperienza? Di certo, un ruolo fondamentale è ricoperto dai professori che hanno il compito di convincere, forse costringere i ragazzi. Vi è però un altro aspetto dirimente: la scelta dello spettacolo adatto. Fino a quando ci saranno professori che useranno il teatro (ma anche la lettura, il cinema, l'arte ecc.) come arma impropria contro i loro alunni, questi ultimi avranno tutto il diritto di non farselo piacere. Il teatro deve smettere quell'aria di trasandata intelligenza che piace tanto ai colti e prendere per mano il pubblico dei più giovani per accompagnarlo verso di sé, carezzarlo e colpirlo se necessario, sicuramente parlare una lingua che possono comprendere e accettare. Quando parlo di lingua non intendo ovviamente solo la parola, ma tutti quegli aspetti che fanno del teatro una esperienza indimenticabile. I corpi, i respiri, l'empatia, l'irripetibilità. Per questo motivo ritengo che un teatro che si avvicini anche fisicamente al pubblico sia il più adatto ai giovani. Bisogna che gli studenti imparino a respirare la stessa aria degli attori, bisogna impregnarli dei loro aliti e sudori, farli appassionare ai loro muscoli. Nella prossimità c'è una buona percentuale di riuscita. In questo modo sapranno amare anche Ovidio e le sue "Metamorfosi", a patto che gli attori siano colti, diretti e normali. Normali come il pubblico. Straordinari come ciascuno spettatore.

Trailer di "Rooms"


Teatro ovunque, anche negli Hotel

Quando cominciai a fare i miei spettacoli nei luoghi non convenzionali fra cui le case, venni a sapere di una iniziativa analoga, ma diversa, come dirò, che partiva dall'Argentina e che si chiama Microteatro. Nel momento più intenso della crisi economica argentina, gli attori dovettero trovare una forma diversa di presentare le proprie opere che fosse compatibile con le tasche del pubblico. Ricordo perfettamente la tipica frase che sentivo ripetere ai miei colleghi nei giorni in cui mi trovavo in scena a Buenos Aires con Persefone di Bob Wilson: "No hay plata", non c'è denaro. Spuntarono allora spettacoli più brevi, 15 minuti circa, che per via della loro durata costavano meno e il pubblico poteva perciò continuare a vivere l'esperienza del teatro senza spendere il denaro che non aveva. Il Microteatro continua ad avere successo, forse a causa della crisi che non smette di colpirci, e a Barcellona è stato organizzato un vero e proprio teatro multisala dove vengono messi in scena brevi spettacoli ripetuti più volte nella stessa serata. 
Microteatro non è Teatro d'Appartamento.
La differenza fondamentale tra Microteatro e Teatro d'Appartamento sta nel fatto che i nostri sono spettacoli completi di lunghezza media che non vogliono riprodurre in piccolo ciò che si può sperimentare in un teatro normale. Inoltre, alla fine dello spettacolo si rimane con gli spettatori per mangiare, bere e parlare di arte e cultura. Con ciò non voglio dire che l'esperienza del teatro breve sia da rigettare, anzi. Tutto ciò che può avvicinare il pubblico alla scena, ovunque questa si trovi, è un aiuto all'arte e soprattutto a chi di teatro vive.
Teatro negli hotel.
Per questo motivo è stato bello e istruttivo partecipare al progetto "Rooms", ideato da Valerio Strati e che ha visto alcuni attori susseguirsi in piccole opere teatrali messe in scena l'anno scorso all'hotel Posta di Palermo. 
Il pubblico entrava nelle varie stanze accompagnato da una guida (Anna Zito) e scopriva personaggi che in quelle stanze agivano, come a spiarne la vita. La particolarità intrigante stava proprio nella esperienza voyeristica  a cui il pubblico veniva messo di fronte, testimoni scomodi di una scena privata. E' stato un grande successo come si può vedere nel video in cima all'articolo.
Allo spettacolo, prodotto da Giulio Pirrotta con Teatro alla Guilla di Palermo, hanno partecipato (oltre a me) Valerio Strati, Domenico Bravo, Viviana Lombardo, Floriana Patti, Maria Grazia Saccaro e Dario Raimondi.


martedì 26 gennaio 2016

TrailerTeatro d'Appartamento

Due parole su Teatro d'Appartamento

Quando decisi di cominciare la mia avventura di Teatro d'Appartamento, non tutto mi era chiaro. Avevo una intuizione e sapevo che quella maniera di presentare uno spettacolo aveva un senso profondo, ma come si sarebbe sviluppato il tutto, non riuscivo ancora a vederlo con la chiarezza di adesso. Sapevo, per esempio, che era necessario un cambio radicale nel paradigma classico del rapporto attore-spettatore e sapevo che quest'ultimo doveva assumere un ruolo più concreto. Sapevo che alla fine dello spettacolo la compagnia doveva rimanere a mangiare e bere col pubblico affinché l'energia e l'emozione dello spettacolo non svanisse con la chiusura del sipario (un modo di dire, in nessuna casa ho trovato un sipario!). Tutto ciò mi era chiaro, altro molto meno. Ci volle tempo, infatti, perché realizzassi la semplice constatazione che si stava sbloccando la voglia nascosta di cultura che c'è in molta gente. Una sorta di crowdfunding culturale dove non è in gioco il denaro, ma il desiderio del pubblico di agire sul prodotto teatrale non solo con l'acquisto di un biglietto, ma con un gesto concreto. Immaginate quanto voglia di cambiamento presuppone il fatto che un padrone di casa inviti i propri amici per vedere e parlare di arte e cultura piuttosto che solo per farsi un bicchiere in compagnia. Tutto ciò a patto che questa gente esista davvero! Di fatto la mia scommessa era nell'avere intuito che moltissime persone avevano davvero voglia di partecipare ad un evento culturale senza che questo venisse filtrato da una istituzione pubblica o privata che fosse. Credetemi, c'è un'infinità di gente che desidera riappropriarsi del teatro e di farlo diventare qualcosa di vicino a loro. Teatro d'Appartamento è teatro di prossimità.
Mi piace dire che con Teatro d'Appartamento lo spettatore respira la stessa aria dell'attore.
Quando portai il mio progetto a Barcellona, sentii che quella intuizione aveva trovato un'altra casa accogliente e mi dedicai alla creazione di una compagnia. L'inizio fu sfolgorante! In due anni abbiamo fatto circa 200 spettacoli tra Palermo e la Spagna. Il marchio TdA divenne famoso e molti mezzi di comunicazione cominciarono a parlare di noi (rassegna stampa). Cosa potevo volere di più? In realtà il progetto, proprio per la sua natura, ha un carattere molto fluido e per questo dovetti imparare a muovermi con l'onda di un mare sempre in movimento. TdA è diventato molte cose e molte altre diventerà. 
Cosa ho imparato da Teatro d'Appartamento?
TdA mi ha reso e mi rende felice per vari motivi. Innanzitutto mi ha permesso di conoscere moltissime persone e mi ha consentito di sfatare una mia pessimistica sensazione sulla società attuale. Esiste molta gente che ancora crede nei valori della comunità, della cultura e dell'altruismo. Non è altruismo puro regalare teatro ai propri amici aprendo la casa agli attori? Poi c'è un aspetto più tecnico che riguarda me e il mio essere attore e regista. TdA, con la sua prossimità spietata al pubblico, è una scuola teatrale come mai avrei immaginato. Ogni dettaglio si amplifica e tutto deve essere controllato maniacalmente. Eppure non bisogna mai essere attori artefatti. No, bisogna rispettare quella prossimità che rende l'evento unico. Un mix di tensione e rilassamento che mi è ritornato utilissimo col pubblico dei più giovani e delle scuole. 
Come dico alla fine di uno dei miei spettacoli, "Lungo le arterie del mondo", il Teatro (d'Appartamento), mi rende felice.
Un ringraziamento speciale a tutti coloro che tra l'Italia e la Spagna mi hanno permesso tutto ciò!

lunedì 25 gennaio 2016


Il corpo dell'attore e il mimo di Decroux.
Parte 3: ogni movimento è energia

E' necessario, prima di proseguire con gli esercizi, soffermarci sul concetto fondamentale di "energia". Ogni movimento è energia non solo per ciò che sprigiona in termini di forza, ma soprattutto in termini di intenzione. Per un attore la parola "intenzione" indica il senso profondo di una azione teatrale, ciò che differenzia una azione da un'altra. Se abbracciamo qualcuno, ad esempio, tale abbraccio assume un aspetto fisico diverso a seconda dell'intenzione che lo provoca: amore, disperazione, affetto, paura e così via. Non tutti gli abbracci sono uguali e ovviamente tutti i movimenti sono differenti. Sapere controllare e distinguere l'energia che determina una azione è di conseguenza una funzione fondamentale per ogni attore. In tutti gli esercizi chiedo energia. Nella fase tecnica, quando si impara ad usare il corpo sulla scena, non è necessario modellare l'energia, a meno che ciò non sia richiesto dall'esercizio stesso. Ad esempio se stiamo abbracciando qualcuno dobbiamo sapere perché. Ciò che risulta importante invece è fare in modo che l'energia fisica non sia bloccata in alcuni punti del corpo. Quando qualcuno ci appare goffo è solo perché una parte del suo corpo non è libera abbastanza per far fluire l'energia attraverso tutti i muscoli. In parole povere, nelle lezioni tecniche dobbiamo imparare a muovere il corpo con libertà e lasciare che le energie fisiche non si blocchino. Vi è un aspetto fisico, certamente, ma non è l'unico fattore in gioco, altrimenti solo fisici atletici potrebbero fare teatro. L'atro aspetto che entra in gioco, affinché l'energia degli attori sia chiara e pulita, è la verità dell'intenzione. Bisogna essere tutt'uno con ciò che si sta facendo e con l'esercizio richiesto. Così come avevo detto a proposito del respiro, bisogna seguire con molta cura le indicazioni del maestro, bisogna incanalare l'energia e portarla a compimento. Anche se si tratta di un semplice esercizio tecnico. In questa maniera insegneremo al corpo ad essere vero, semplice e sincero. Come è stato già detto, l'attore è un atleta del cuore.
Credo sia chiaro da quanto ho scritto fino adesso in questa e nelle lezioni precedenti, che il rapporto allievo-maestro è fondamentale. In Oriente tutto ciò sarebbe chiaro sin dalle prime parole, ma nel nostro mondo occidentale i concetti di energia, respiro, sincerità del movimento, purezza dell'intenzione, assumono un'aria quasi mistica, vagamente "new age" nell'aspetto più deteriore. Affidatevi ad un maestro, sceglietelo con cura, fatevi scegliere da lui e abbandonatevi alle sue lezioni. Avrete tutto il tempo per trovare di meglio in futuro se ciò sarà necessario. L'energia va trovata innanzitutto nei punti più profondi del nostro corpo e per fare ciò abbiamo bisogno di un maestro che sappia scavare con noi. La mia maestra, Anne Dennis, era gentile e ferma, credibile e autorevole. Aveva energia. Senza di lei non farei ciò che faccio.
Esercizio pratico di energia del corpo teatrale.
Per mettere in pratica quanto appena detto, ecco un esercizio molto semplice. Mettetevi in piedi in seconda posizione e in grado zero. Allungate il braccio destro sulla testa e il sinistro in basso verso terra. Senza fare alcuna rotazione del corpo, portate il braccio destro verso sinistra facendo flettere il corpo e piegando la gamba sinistra. I due piedi sono piantati a terra e ciò a cui dovremo fare attenzione è che l'energia fluisca dalla punta del piede sino alla punta della mano destra attraverso l'intero corpo flesso ed esteso a sinistra. Rimanete in questa estensione senza stirare eccessivamente (siamo "solo" atleti del cuore, ricordate) per otto tempi e inspirando portiamo l'esercizio al lato opposto cambiando la posizione delle braccia, Fate una serie di quattro e alla fine tornate al grado zero. Ricordatevi di non andare mai in apnea in nessun momento. Molto spesso per assicurarmi di ciò, chiedo ai miei allievi di parlare durante l'esercizio. Chi parla respira! Questo allungamento è un ottimo riscaldamento e ci fa capire praticamente cosa significhi lasciare che l'energia fluisca lungo tutto il corpo.
Chiunque abbia bisogno di delucidazioni può lasciare un commento.

Sandro Dieli

Lezione precedente - Lezione successiva

domenica 24 gennaio 2016


L'attore Graziano Piazza (NON) fa "Schifo"

Ieri ho visto uno spettacolo (Teatro alla Guilla di Palermo) che ha venti anni di vita e purtroppo non sembra dimostrarli. Il "purtroppo" è d'obbligo visto l'argomento e visto che si parla di immigrazione.  "Purtroppo" nulla sembra essere cambiato in tutto questo tempo.
Il teatro racconta la realtà.
Nel monologo, "Schifo" di Robert Schneider con la regia di Cesare Lievi, chi parla è un immigrato che vende rose come molti altri e che travolge gli interlocutori, il pubblico con un flusso di pensieri e parole che raccontano di lui e del suo rapporto con la Germania in cui vive. Sad, il suo nome, è irregolare, vende rose illegalmente e tutta la sua vita sembra scorrere in un limbo di illegalità dove lui non sembra esistere se non per quelle parole che condivide col pubblico. Le parole sono così importanti per Sad che con i primi soldi guadagnati col commercio di rose, decide di comprare un vocabolario arabo-tedesco. Le parole, dunque, diventano la sostanza dell'uomo, dello spettacolo e della densa aria che si respira nel teatro. Il pubblico trattiene il respiro e si lascia travolgere dal flusso di pensieri. Graziano Piazza, bravissimo, parla con un verosimile accento arabo e verosimile è il suo aspetto. Tanto verosimile da non essere riconosciuto quando all'ingresso del teatro tenta di vendere rose all'ignaro pubblico. Tanto verosimile da essere affrontato da un ragazzo del quartiere che gli intima di andarsene perché nella zona decide lui chi può o non può vendere le rose. Tanto verosimile da dover svelare il travestimento per non rischiare danni fisici. Perché l'immigrato che vende le rose è un po' uno "Schifo" per tutti, adesso come venti anni fa. In questo corto circuito tra realtà e teatro, il pubblico reagisce con sgomento e si domanda finalmente chi faccia veramente schifo. Perché a volte non è "l'altro" a far schifo, ma colui che così maledettamente ti somiglia. E forse quel pezzo di te che non sa venire a patti con il diverso.

Graziano Piazza e Maddalena Crippa sono in scena dal 3 a 7 marzo al teatro Biondo di Palermo in "Lampedusa Way" scritto e diretto da Lina Prosa. 

venerdì 22 gennaio 2016


Il corpo dell'attore e il mimo di Decroux.
Parte 2: un movimento, un respiro

L'esercizio che adesso chiederò di fare può sembrare semplicissimo, ma non lo è. Innanzitutto devo premettere una considerazione generale. Tutti gli esercizi devono essere svolti esattamente per come vengono indicati, non tanto perché quel dato esercizio determini una conoscenza fondamentale per la formazione dell'attore, quanto per una autodisciplina a cui è necessario abituarsi. Se il maestro dà delle regole, queste vanno seguite. L'allievo potrà sperimentare quanto il suo corpo saprà adattarsi alle indicazioni e quanto no. Uno dei limiti a cui va incontro un allievo e l'incapacità di capire la distanza tra ciò che immagina di fare e ciò che fa realmente. Per questo motivo è assolutamente fondamentale seguire alla lettera le indicazioni e le regole dell'esercizio e adattarvisi.
Torniamo all'esercizio.
Ci si mette in "grado zero" (vedi parte 1), piedi in prima posizione 
e si comincia a respirare come indicato nella parte 1. Appena il respiro sarà calmo e completo si comincerà ad abbinare un pliè espirando e un relevè inspirando. Si faccia attenzione che ogni respiro duri esattamente quanto il movimento, né più né meno e che non ci sia alcuna apnea in mezzo. In poche parole il corpo andrà su e giù armoniosamente accompagnato dal respiro. Altra cosa a cui fare assolutamente caso è che il ginocchio sia sempre in linea con il piede e che la schiena rimanga sempre in asse. Nessuna inclinazione del busto o del bacino. Andate in pliè quanto vi permette il vostro corpo e non esagerate. Se riuscirete a fare questo semplice esercizio sarete già  metà dell'opera. Terminate l'esercizio nel punto più alto del relevè, in punta di piedi e mantenete l'equilibrio. Non dimenticate di continuare a respirare regolarmente secondo il ritmo impartito durante l'esercizio. Alla fine tornate al "grado zero" e rilassatevi.
Per riassumere. Il compito è quello di abbinare un movimento ad un respiro evitando di concludere uno prima dell'altro. Non sarà facile, credetemi. Dopo sarete pronti per un nuovo esercizio.

mercoledì 20 gennaio 2016


Il corpo dell'attore e il mimo di Decroux.
Parte 1: stare in piedi e respirare

Comincio questa prima lezione con un avvertimento che può sembrare una banalità: ricordatevi di respirare sempre. Il corpo dell'attore non può infatti mai interrompere il flusso della inspirazione e della espirazione senza perdere la sua forza. L'osservazione, credetemi, non è banale avendo visto nei miei lunghi anni di insegnamento una infinità di allievi in apnea al primo esercizio di movimento. Una delle cose più complicate per un attore alle prime armi è quella di mettere assieme in maniera armoniosa il gesto e la respirazione. Mi sentirei di dare una regola generale che vale per tutti: ogni movimento dell'attore sulla scena va accompagnato da un respiro. Da allievo ricordo perfettamente la respirazione di Marcel Marceau che accompagnava i suoi gesti e i sui esercizi tecnici.
Il problema del respiro tranquillo necessario per stare sulla scena è che tale respiro deve fluire in un corpo mai abbandonato. Non dico che bisogna stare in tensione, ma che il corpo deve sempre avere una energia che lo sostiene. In gergo tecnico si dice che l'attore da fermo è in "grado zero". Il corpo fermo combatte sempre contro la gravità e non può mai abbandonarsi a se stesso. Per ottenere ciò fate il seguente esercizio. Mettetevi in piedi e immaginate una energia che dai piedi vi attraversi la spina dorsale per uscire all'altezza del retro della testa e per proseguire in alto senza fine. Raggiungere tale sensazione non è facile e avrete bisogno di molta concentrazione. Fate attenzione a non irrigidire il collo e non alzare il mento. Spesso, durante le mie lezioni parlo di un fantomatico signore che con un gancio ci prende da sopra la nuca e ci manovra come un puparo. Ecco, dovremo sentirci come appesi e con il peso del corpo sempre leggermente in avanti. Fate attenzione infatti a non mettere tutto il peso del corpo sui talloni. Datevi tempo per capire tutti i passaggi che vi ho appena spiegato, non affrettate nulla, studiatevi e sentite ogni dettaglio e ogni punto del corpo.
Adesso che siete correttamente nel vostro"grado zero", potete concentrarvi sulla respirazione. 
Ogni volta che inspirate dovete sentire che la parte della pancia appena sotto il plesso solare si gonfia come un palloncino. Continuate ad inalare senza forzare e quando avrete il massimo di aria nei polmoni, espirate spingendo lo stesso punto della pancia per svuotarvi. Molto spesso, questo esercizio, che appare semplicissimo, viene viziato da un errore, quello di cominciare il respiro dal petto o addirittura dalle spalle. E' come se volessimo riempire solo metà di un recipiente, mentre i polmoni dell'attore devono lavorare a pieno regime per permettergli di muoversi e di di parlare. Se avete difficoltà a capire come fare, distendetevi per terra a pancia in su e provate ancora. Normalmente questa posizione permette di liberare il respiro. Non appena avrete capito come fare (ci vuole molto tempo e molta pazienza), rimettetevi in "grado zero" e ricominciate. Il respiro ottimale è regolare, lungo e riempie i polmoni completamente sino alle spalle (che devono rigorosamente stare ferme e rilassate). 
Ripeto: datevi del tempo per capire come funziona la vostra respirazione. Abituatevi a non fare apnee e rimanere rilassati. Appena pronti potrete passare al prossimo compito, un respiro abbinato ad un movimento.

lunedì 18 gennaio 2016

Il corpo dell'attore e il mimo di Decroux.
Introduzione

Quando si aprì il sipario la platea si riempì di risate di scherno. Come dare loro torto. Gli attori erano seminudi e il loro viso era coperto da uno straccio. Nessuno aveva mai visto una cosa del genere e nessuno poteva immaginare che quella rappresentazione a cui stavano assistendo era l'inizio di una rivoluzione. Alla scuola parigina  "du Vieux Colombier" Etienne Decroux aveva messo in scena il primo esperimento di quello che sarebbe diventato un filone teatrale che avrebbe portato ad esiti straordinariamente nuovi. 
Ma quale era la grande novità? Sarebbe troppo lungo raccontare tutto, ma forse si può dire semplicemente che Decroux seppe costruire una grammatica del corpo che ancora oggi risulta utilissima per gli allievi attori che vogliono calcare le scene professionalmente. L'intuizione di Decroux può essere sintetizzata così: se è vero che tutta la letteratura mondiale può essere trascritta attraverso l'uso di pochi segni (le lettere dell'alfabeto), perché non dare al corpo degli strumenti altrettanto potenti per diventare teatralmente intellegibile? Definì una divisione del corpo in 5 parti e 3 movimenti di base, l'inclinazione, la rotazione e la traslazione. Tali movimenti nella loro infinita articolazione avrebbero permesso al corpo di dire tutto! L'intuizione era geniale, ma avrebbe avuto bisogno di tempo per penetrare il mondo teatrale che nei primi anni del secolo scorso era ancora intriso di vizi ottocenteschi. Decroux aveva bisogno di tempo, di fedeli compagni di strada (ad esempio Jean-Louis Barrault) e di una visione del teatro che superasse l'ordinario. Decroux era un genio e riuscì in tutto ciò, salvo poi congelarsi nella sua stessa grammatica che da strumento si trasformò a poco a poco in fine ultimo della rappresentazione teatrale. Decroux fu un grande teorico e maestro, ma furono altri a conquistare i grandi successi internazionali (Marcel Marceau e lo stesso Barrault).
Da oggi comincerò a scrivere delle lezioni, ovviamente limitate, sulla grammatica del corpo di Decroux, nella speranza che ciò possa essere di aiuto a ricordare il grande maestro e a fornire lo spunto per uno studio più approfondito della corporalità teatrale. Gli attori hanno ancora bisogno di Decroux.


sabato 16 gennaio 2016

Un pezzo di quel "Kean" lo sento mio
Ieri ho visto "Kean" di Michele Perriera al Teatro Biondo di Palermo. Non scrivo per parlare della messa in scena. A quello penseranno i critici e le discussioni del pubblico. Quello che vorrei narrare è il mio pezzetto di "Kean" che ho sentito ieri scorrere dentro di me. Nel 1987 lo stesso Michele Perriera mise in scena lo spettacolo con Lollo Franco come protagonista e con molti attori provenienti dalla sua scuola. Pur avendo frequentato solo alcuni mesi alla scuola del Teates, Michele decise di darmi la parte di Pistola, il giovane attore della compagnia da cui era partita la sfolgorante carriera di Kean e che egli aveva abbandonato per i palcoscenici dorati della Londra più facoltosa. Pistola ero io e adesso non potrei più esserlo per via degli anni che mi separano da lui. Tutta l'opera di Perriera, scritta in un sontuoso rincorrersi di eleganti battute, parla della memoria e del passato. Ecco allora il senso della mia emozione di ieri. Mi vedevo sul palcoscenico come in un sogno ad occhi aperti, sentivo di appartenere ancora a quei metri quadrati di legno che sono il mondo dell'attore. Eppure erano solo i miei occhi a vedere, il mio corpo sedeva in una delle poltrone della platea. Magicamente le battute ritornavano alla memoria, i visi dei vecchi compagni di scena si fondevano con gli attori di oggi e tutto il gioco teatrale dispensato sul palcoscenico diventava parte di me. Un pezzo di quel Kean sono io e la memoria mi ha accarezzato l'animo.

giovedì 14 gennaio 2016

Sandro Dieli attore, regista, autore: Il padre del mimo moderno è Etienne Decroux. Lo s...

Sandro Dieli attore, regista, autore:
Il padre del mimo moderno è Etienne Decroux. Lo s...
: Il padre del mimo moderno è Etienne Decroux.  Lo sapevi? Non sono in molti a conoscere Etienne Decroux . Eppure senza di lui il t...

Il padre del mimo moderno è Etienne Decroux. 
Lo sapevi?

Non sono in molti a conoscere Etienne Decroux. Eppure senza di lui il teatro occidentale non sarebbe stato lo stesso. Non avremmo avuto i suoi allievi Jean-Louis Barrault, Jacques Lecoq, Marcel Marceau. Non avremmo avuto il totale ribaltamento del corpo dell'attore rispetto ai canoni dell'ottocento e saremmo rimasti agli svolazzamenti delle braccia che tanto odiava. In realtà, senza di lui non avremmo avuto Grotowski e il corpo atletico e solitario, forse ci saremmo persi Kantor, Fo, Strehler. Lo so, sto esagerando e mai nessuno potrà dimostrare cosa sarebbe accaduto al teatro se la genialità di Decroux non fosse apparsa ad illuminare la scena parigina. Esagero per contrastare l'altrettanto esagerato oblio che circonda ormai la sua figura. Un oblio del pubblico, cosa comprensibile, ma soprattutto degli attori e registi che si muovono sui palcoscenici, ignari del fondamentale insegnamento del maestro francese. Esagero ancora, allora. Senza Etienne Decroux nessun attore, mimo, clown, performer riuscirebbe a muoversi e forse il teatro sarebbe morto. Ma Etienne Decroux  è nato, vissuto a lungo e il teatro è ancora vivo e vegeto.

mercoledì 13 gennaio 2016

LSU di A. Pizzullo Regia Sandro Dieli con S. Goezi, S. Blandeburgo, A. P...





Con tre splendide attrici e la mia regia
Cosa ho imparato da Bob Wilson

Sono passati molti anni ormai da quando ho fatto l'ultimo spettacolo con la regia del grande maestro del teatro Bob Wilson. Era il 2004 e mi trovavo a Merida, in Spagna. Il teatro in cui presentavamo lo spettacolo "Persefone" era bellissimo, incombente. Migliaia di spettatori per otto repliche. 
Non sono sicuro di aver capito a quel tempo che la mia vita stava cambiando e che molte cose non sarebbero state più le stesse. Una di queste era che non avrei più visto Bob Wilson fino ad oggi. Non so se lo rivedrò e non so cosa potrei dirgli se lo vedessi. Certamente gli direi grazie e gli confesserei che solo ora ho cominciato a capire l'importanza del suo genio, la forza delle sue immagini e la potenza dei suoi gesti. Solo ora capisco. Ora che sento il suo teatro lontano e vicino. Lontano abbastanza per vederlo e vicino abbastanza per sentirlo nelle mie creazioni. Nascosto, invisibile agli altri, ma presente come mai. Con lui ho girato il mondo e non ho avuto il tempo di dirgli grazie. Thanks Bob


giovedì 7 gennaio 2016

Trailer Teatro d'Appartamento

Lungo le arterie del mondo di Sandro Dieli

Alcune scene da Le Metamorfosi di e con Sandro Dieli

Sandro Dieli in Perbacco - Stanze al Genio

Piccola presentazione di Teatro d'Appartamento


Teatro e mandala.

Si tratta di una banalità, lo so, ma vale la pena ripeterla: il teatro esiste solamente nel momento in cui si fa. Come direbbero quelli dotti, hic et nunc, qui e adesso. Si tratta di un rito che vive nel momento e che in altro tempo o altro luogo si annulla. Tutto ciò serva allo spettatore pigro e potenziale dell'evento teatrale per fargli capire quanto sia importante cogliere l'occasione, partecipare al rito. Nell'epoca della condivisione immediata e della riproducibilità, il teatro vive e muore nell'attimo stesso in cui si fa. Un momento prima dello spettacolo e un momento dopo non esiste. Dovete essere lì al momento giusto. Il godimento è nell'effimero. 

lunedì 4 gennaio 2016


Ecco cosa NON è Teatro d'Appartamento

La triste e crudele frase di una spettatrice citata in una intervista all'attore e regista Massimo Popolizio su Dramma.it. Che la salvezza del teatro italiano sia nel ritorno al teatro?

"Grazie per non avere fatto uno spettacolo con gli uomini sui tacchi a spillo". Una spettatrice fuori dal camerino di Massimo Popolizio si complimenta e ringrazia dopo avere assistito a Il prezzo di Arthur Miller, di cui l'attore è anche regista.

Meditate gente, meditate.

www.teatrodappartamento.com   teatrodappartamento@gmail.com

domenica 3 gennaio 2016

Il nuovo anno di Teatro d'Appartamento

Teatro d'Appartamento è un progetto che vive nella realtà seguendo l'andamento dei tempi. Le proposte teatrali si adattano ai luoghi e alla gente offrendo così un inversione totale rispetto all'esperienza che il pubblico vive normalmente. Il teatro di prossimità coinvolge tutti i sensi. Per questo ci piace dire che con noi il pubblico respira la stessa aria degli attori.
Da alcuni mesi abbiamo cominciato a lavorare nelle scuole e per gli studenti. Alcune centinaia di ragazzi a Palermo e a Barcellona hanno visto Le Metamorfosi e hanno discusso di miti e teatro. Un grande successo. Anche per il cuore.
Per tutto ciò riteniamo che Teatro d'Appartamento abbia una lunga vita davanti a sé e un bel passato pieno di felicità.
teatrodappartamento@gmail.com   www.teatrodappartamento.com

BUON ANNO DA TEATRO D'APPARTAMENTO!